Etica e comunicazione

Etica e comunicazione

Etica e comunicazione

Relazione, autenticità ed etica nella comunicazione d’oggi

Conversazione con il prof. Giampietro Vecchiato

Giampietro Vecchiato è Professore a contratto di Relazioni pubbliche all’Università di Padova, Corso di laurea in “Strategie di comunicazione”. E’ socio fondatore di PR Consulting, storica agenzia di relazioni pubbliche e comunicazione di Padova.

Siamo della stessa generazione e ci occupiamo entrambi, da molti anni, di comunicazione. Siamo tuttavia stati svezzati con un latte diverso. Io ho succhiato quello della critica, quel latte che ricerca lo “svelamento della contraddizione”. Giampietro si è nutrito con un diverso brand, quello del pensiero positivo, della composizione del conflitto, della risoluzione della “contraddizione”.

Parliamo adesso della comunicazione nel tempo attuale che solo per comodità definiamo dell’era dei social. Ancora una volta riemerge l’antico sapore del latte che ci ha rispettivamente nutrito: quello della critica e quello dell’ottimismo.

Spetta a me porre le questioni e la prima è proprio questa. Non credi, Giampietro, che oggi la comunicazione sia sovraccaricata di significati e quindi anche di responsabilità. Se qualcosa non va la è colpa è sempre della comunicazione. Da lei dipende la vittoria e la sconfitta. Non credi che sia stato dilatato il suo significato fino a coprire ambiti non pertinenti?

 “il quadro di complessità è massimo e la velocità del cambiamento è vertiginosa.

“Forse è così.” Mi replica Giampietro. “Mi limiterei tuttavia a guardare ai sistemi organizzati e alla loro relazione con l’ambiente esterno, sia che si tratti del ‘mondo’ in generale sia di quello di riferimento. Entrambi oggi sono fonte di incertezza. A causa dei rilevanti mutamenti che si stanno verificando nell’ambiente generale in cui si muovono le varie organizzazioni (globalizzazione, internazionalizzazione, nuove tecnologie, instabilità geopolitiche … e oggi ci mettiamo anche le pandemie), il quadro di complessità è massimo e la velocità del cambiamento è vertiginosa.

Non può non derivarne l’aumento esponenziale dell’incertezza per le organizzazioni. La comunicazione può essere utile al sistema-organizzazione per affrontare tale incertezza. In questo contesto la comunicazione può essere non solo utile ma sta di fatto assumendo sempre più un’importanza strategica per tutti i tipi di organizzazione. Giunge al suo massimo interesse e utilità quando riesce a incardinarsi su un concetto per me fondamentale: quello della relazione. E’ questo l’elemento che può dare davvero un vantaggio competitivo a ogni organizzazione.”

Mi pare che, in generale, la mia critica al sovraccarico di responsabilità resti in piedi e che tu invece punti sul fatto che un miglioramento della comunicazione in termini di relazione può essere utile, anzi indispensabile, alle organizzazioni per ‘navigare’ sicure in un ambiente complesso. E’ come se mi dicessi: guarda che rischi di buttare il bambino con l’acqua sporca.

G. P. Vecchiato dentro un’opera di Lorenzo Marini

” anche la comunicazione ha bisogno di una “ecologia”

“E’ così, può essere una buona immagine. Bisogna distinguere e buttare l’acqua sporca e far crescere il bambino. Vuol dire che anche la comunicazione ha bisogno di una “ecologia” che non ha come obiettivo solo quello di essere performante, ma anche positivamente significativa.” Inoltre, la comunicazione va sempre accompagnata dai “contenuti” che mi piace sintetizzare con la frase: ‘Parlare solo quando si ha qualcosa di utile e interessante da dire!’ per il nostro interlocutore.”

Tornerei ancora sul tema della “relazione” che mi pare molto stimolante e che appartiene a molte discipline. Mi viene in mente, ad esempio, la teologia con il suo “Deus est relatio” richiamato recentemente anche da Papa Francesco, ma anche la fisica quantistica. Carlo Rovelli, ad esempio, sostiene che la stessa materia è relazione. Ma non possiamo non pensare alle reti e ai nodi informatici che oggi sono parte integrante del nostro ambiente. Cosa significa, parlando di comunicazione, la parola “relazione”, per te così importante?

“E’ un concetto centrale per molti versanti. Qui mi soffermo su due. Il primo riguarda le organizzazioni. Mettere al centro la relazione significa aver chiaro, come diceva Churck Noll, storico allenatore dei Pittsburgh, che ‘il tutto non è mai la somma delle parti: è maggiore o minore a seconda di come riescono a collaborare i suoi membri.’

“Dobbiamo abbandonare l’illusione della verticalità e “andare là dove sono le persone.”

Il secondo invece riguarda sia le organizzazioni che le persone e si aggancia al significato che ha nell’ambito dell’infosfera e in particolare dei social. Quando diventiamo ‘amici’ di qualcuno su facebook o veniamo seguiti da qualcuno su twitter o anche quando cerchiamo di convincere un cliente ad acquistare un prodotto ci stiamo rapportando con una persona, non con un nodo della rete, con una macchina o un ‘semplice’ consumatore. Dobbiamo abbandonare l’illusione della verticalità e “andare là dove sono le persone.” Ogni organizzazione è infatti inserita in un ecosistema ed è in questo ecosistema che vanno governate tutte le relazioni per vivere, prosperare e competere.”

Dalla relazione alla persona. Ma che cosa sia la persona ce lo dice l’etica, non la comunicazione.

“Sì, certo, condivido. E la comunicazione deve rapportarsi all’etica. Anzi deve essere guidata da principi e valori etici”. A partire dai seguenti: dire la verità, non fare del male e rispettare gli altri, fare del bene, rispettare la privacy, essere leali e socialmente responsabili.

Pensavo che avremmo parlato di tecnicismi della comunicazione e invece siamo qui a “divagare” tra ambiti diversi, entrando e uscendo costantemente dal terreno specialistico. Succede anche se parliamo di “social” e di come uno, persona od organizzazione, costruisce la propria identità sociale nella rete, cioè, in gran parte, sui social?

 “Nessuno può a lungo avere una faccia per se stesso e un’altra per la folla senza rischiare di non sapere più quale sia quella vera”.

“Penso proprio di sì. Parlare di social significa parlare di come ci rappresentiamo. Cosa succede quando l’immagine che trasmettiamo agli altri (identità sociale) non è coerente con la nostra realtà interiore (identità personale)? Cosa succede quando le organizzazioni trasmettono un’immagine che, nel momento del contatto con i diversi pubblici, non coincide con quanto dichiarato o evidenzia un certo grado di ambiguità? Succede che l’immagine sociale – voluta, costruita e perseguita in contrapposizione con la nostra personalità – prende il sopravvento sulla nostra reale identità, perdiamo il contatto profondo con il nostro sé e quindi con gli altri. Perdiamo la nostra autenticità/identità. “Nessuno può a lungo avere una faccia per se stesso e un’altra per la folla – afferma Nathaniel Hawthorne – senza rischiare di non sapere più quale sia quella vera”.

Bella questa citazione e mi ricorda un concetto del grande psicoanalista Bruno Bettlheim. Diceva che i viennesi facevano il saluto al führer come un gesto vuoto, a cui non aderivano intimamente, ma che, nel tempo, gesto e convinzione creavano una sorta di schizofrenia che richiedeva una ricomposizione e questa avveniva adeguando la convinzione al gesto. Potenza del simbolo. Anche Hawthorne fa riflettere con la sua lettera scarlatta. La “A” di adultera sul petto di Hester è un simbolo, una segno di comunicazione imposto dalla comunità moralista a partire dalla sua etica integralista. La nostra etica non lo permetterebbe. Che ne pensi?

“Saper comunicare con efficacia e avere buone relazioni è più che mai un fattore critico di successo per le persone e per le organizzazioni. Accanto alla buona comunicazione c’è la “cattiva comunicazione”. Solo con la crescita e la diffusione di una cultura della comunicazione – trasparente, autentica (valori etici) ed efficace (valore tecnici) tra le persone, nelle organizzazioni e tra queste e l’ambiente esterno – può ridurre i conflitti, creare nuovo valore e aumentare il capitale relazionale di tutta la comunità. Tecnica ed etica devono quindi essere connessi.”

f. n.

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