Nell’era dei selfie

Nell’era dei selfie

Nell’era dei selfie

Esiste ancora la fotografia?

Ne parliamo con Walter Ponchia, fotografo internazionale

di Francesco Nosella

Si dice, non sempre a ragione, che viviamo nella civiltà dell’immagine e della riproducibilità. Ogni giorno scattiamo miliardi di foto con i nostri cellulari e consultiamo milioni di pagine di banche immagini. Abbiamo l’Intelligenza Artificiale che dipinge un quadro che Rembrandt non ha mai dipinto ma che avrebbe potuto farlo.
Viviamo, insomma, in un eccesso di “fotografia” e può sembrare assurdo chiederci se essa esista ancora. E invece, come vedremo, non è per niente assurdo.
Di che cosa sia oggi la fotografia ne parliamo con Walter Ponchia, fotografo internazionale pluripremiato.

“Non c’è dubbio – ci dice Walter – che la fotografia negli ultimi vent’anni sia cambiata in modo radicale e sia diventata un semplice “saper fare”. Hai lo strumento tecnico, lo sai usare, scatti e quindi sai fare una foto. Ma foto, invece, non è solo un “saper fare”, è, prima di tutto, un “saper pensare”.
La foto quindi può esistere ancora, ma solo si distingue dal selfie, se riesce a differenziarsi dall’appiattimento, dall’omologazione, dalla mancanza di identità che caratterizza molto del nostro mondo. Può esistere ancora, però, solo se si inserisce in un orizzonte più ampio e cioè quello della comunicazione. Ciò significa che si deve lavorare in maniera multidisciplinare, in un ambiente dove più competenze si incontrano, pur mantenendo ciascuna la propria autonomia.”

Walter Ponchia, fotografo

Puoi spiegare meglio cosa intendi per “saper fare” e “saper pensare”? Potremmo dire che la fotografia esiste ancora ma non è più “roba” esclusiva del fotografo? E ancora, possiamo dire che la differenza tra la fotografia e i selfie e le foto seriali è paragonabile alla differenza tra linguaggio scritto e linguaggio parlato o, meglio ancora, tra il linguaggio che indica qualcosa e il linguaggio che pensa?

“Mi pare di sì, ma mi spiego con un esempio. Il “saper fare” è quello che avviene dietro la fotocamera. Lì conta la conoscenza degli strumenti, oggi sempre più semplici; basta schiacciare il grilletto o premere il polpastrello per fare touch. Il “saper pensare” non avviene dietro ma davanti la fotocamera, sul soggetto. Questo significa fare una fotografia. Bisogna partire da un’idea per costruire progetti-soluzioni da offrire a interlocutori sensibili. La foto, insomma, non è uno scatto ma la costruzione del soggetto fotografato.”

Questo spiega un’altra cosa che Walter ripete spesso è cioè che la fotografia non si fa, ma si vive. Con Walter oggi siamo impegnati in un progetto che abbiamo chiamato “Non sono uguale” volendo significare con ciò che una foto deve cogliere e restituire l’anima del soggetto ritratto, che è sempre unico. Pensiamo ai ritratti pittorici, prendono il soggetto e lo immortalano, lo tolgono cioè dall’usura del tempo. Cosa vuol dire tutto ciò?

“Te lo dico anche qui con un esempio. Uno dei progetti su cui siamo impegnati si chiama “Osti e Osterie. Nel cuore del Veneto.” Abbiamo “pensato” che l’Osteria sia una sorta di crocevia che intreccia le due fondamentali filiere del vino. Quella dei valori quali ospitalità, incontro, gusto, socialità e quella delle competenze “professionali”: agronomi, enologi, cantinieri, sommelier e altri. Ecco le Osterie sono il cuore di questo fenomeno antico e modernissimo, tradizionale e innovativo che chiamiamo vino. E come ogni vino ha un nome, un cognome, una data di nascita, un produttore e nessuno è uguale a un altro, così è per le osterie. Nessuna è uguale all’altra.
In questo modo il ritratto di una ventina di osti e osterie del Veneto accompagnato da una narrazione sintetica e precisa del soggetto diventa il racconto del mondo affascinante ed effervescente del vino, delle sue identità e delle sue differenze.”

Facciamo tre esempi di un lavoro in progress che ci aiuta a comprendere il progetto. La prima è la foto di Alberto Grinzato dell’Osteria all’Anfora che con il suo “salto del banco” ci racconta l’esuberante forza comunicativa del vino e della sua osteria. Michele Gasparini, dell’osteria Evoé ci spiega invece la professionalità, la tecnica e la sapienza contenuta nel prodotto che ci serve e infine Domenico Cortes dell’Osteria Cortes ci offre un caleidoscopio di immagini ricordi e sensazioni che ci invitano ad un viaggio ai confini tra il nostro conscio e inconscio.

Alberto Grinzato, Osteria all’Anfora                 Michele Gasparini, Osteria Evoé                       Domenico Cortes, Osteria Cortes

Walter Ponchia è nato nella città di Padova, in Italia. Attratto dalla fotografia fin dalla tenera età, inizia a formarsi come fotografo tra Padova, Roma e Londra nei primi anni ’70.
Negli anni ’80 si trasferì nella città di Caracas, in Venezuela, dove in 30 anni riesce a diventare un riconosciuto fotografo pubblicitario. Vincitore di numerosi premi e riconoscimenti, come il Premio ANDA (National Association of Advertisers).
Nel 1995 è stato nominato Maestro Onorario da AVECOFA (Asociazione Venezuelano della comunità fotografica e affine). Ha anche tenuto corsi e seminari in Università e istituzioni come, ULA, UCAB, Kodak Interamericana.
Con un ampio portafoglio di clienti come Visa, Empresas Polar, Alfonzo Rivas, Lucky Strike, McDonald’s, Bayer, Coca Cola, Compaq, PDVSA, Brahma, tra gli altri. Ha anche lavorato in Colombia, Ecuador, Italia e Germania.
Dal 1995 collabora con La voce d’Italia (voce.com.ve) giornale fondato nel 1950 a Caracas dove cura e scrive  in ‘Immagini e parole’,  rubrica che tratta temi  socioculturali  dando pero’  spazio all’ immagine

Enter your keyword