Cielo e terra Il racconto nell’arte di Nora Ferriani

Cielo e terra Il racconto nell’arte di Nora Ferriani

Cielo e terra Il racconto nell’arte di Nora Ferriani

Cielo e terra. Il racconto nell’arte di Nora Ferriani

Dal 4 febbraio a 4 marzo. Galleria dpProgetti – Padova

Una delle prime sensazioni che ti procurano i dipinti di Nora Ferrini è quella dell’accoglienza. È come se ti dicessero “accomodati”. Dove? Dentro una costruzione pittorica che ha la riconoscibilità dell’arte figurativa, e in questo modo ti fa sentire “a casa”, ma anche la vaghezza di un sogno sospeso che libera la tua immaginazione dentro un paesaggio, i cui limiti sono definiti dalla luce.

Quello dell’accoglienza è un sentimento forte, molto sviluppato nella produzione di Nora, soprattutto nelle opere che precedono l’ultimo, impegnativo, lavoro che dà vita a questa mostra “Cielo e terra. Racconto nell’arte di Nora Ferriani” alla Galleria dpProgetti di Padova dal 4 febbraio al 4 marzo.

Prima di intraprendere questa fatica l’autrice dipingeva seguendo un’ispirazione individuale, spesso immediata, di cui sviluppava, nella propria “testa” un progetto già molto definito ancor prima di prendere in mano le spatole e i colori per trasferirlo sulla tela.

Questa volta, invece, si è “liberamente obbligata” a lavorare su un tema. Diventa naturale il richiamo alla tradizione della nostra grande arte religiosa che ha per tema le storie del “Libro”, le sacre scritture e che ha dato vita ai cicli pittorici che hanno fatto grande la nostra arte.

Anche nel nostro caso viene scelto un “libro”, e uno di spessore, nientemeno che “Guerra e pace”, il capolavoro di L. Tolstoj. Un anno di lavoro per realizzare diciotto opere ispirate al grande affresco che lo scrittore russo ha dedicato a quindici anni della storia del proprio Paese, dal 1805 al 1820, un’epopea che include il grande evento dell’invasione di Napoleone e della sua sconfitta.

Notte a San Pietroburgo – Olio su tela – 90×80
Era una luminosa notte senza crepuscolo, come sono le notti di giugno a Pietroburgo. L. Tolstoj, Guerra e pace, – Volume primo – Parte prima

L’immenso racconto di Tolstoj è la trama, o forse la sinopia – Nora pratica e ama il disegno – in cui vengono fissati una serie di “nodi”, come su una rete informatica, che se riuniti tra di loro ci restituiscono non l’opera, ma un senso dell’impresa di Tolstoj.

Come sceglierli? Il testo offre numerose opzioni, più o meno praticabili, così come per i cicli dell’arte sacra. Dalla vita di Gesù a quella di Maria, dal racconto della creazione a quello dell’Apocalisse, dalle virtù morali ai vizi capitali e molti altri ancora. Così è per Guerra e pace con i suoi circa seicento personaggi, battaglie, balli, amori, famiglie e sangue, città, boschi e steppe.

Nora compie la scelta per lei più naturale ed è quella del paesaggio, contenitore della storia. Le tavole risultano, per la maggior parte, prive di presenze umane e anche quando queste ci sono si tratta di figure appena accennate seppur perfettamente leggibili. A volte sono confuse con il paesaggio, quasi mimetizzate, altre, invece, grazie all’uso sapiente del colore, emergono con perentorietà. Processioni indistinte, soldati schierati o al bivacco, figure erranti tra le macerie, sagome raffinate ed eleganti che si apprestano al gran ballo.

Nell’intero ciclo troviamo forse tre eccezioni in cui la presenza umana emerge mettendo per un attimo sullo sfondo il paesaggio. Ciò non avviene per la quantità di spazio riservatogli sulla tela, ma per la forza che emanano raggiunta per sapienza pittorica. Si tratta della tavola dal titolo “Libertà”, scelta per la locandina della mostra, dove, con tratti solo accennati, un bimbo, un filo e un aquilone irrompono nel paesaggio che accoglie “l’anima immortale” e rende impossibile ogni prigionia, come chiarisce la citazione che l’accompagna. È il caso del maglione rosso di una bambina – morta? – portata a braccio da un padre (?) di color cenere come le rovine della città distrutta dalla guerra e l’annotazione perentoria che …”Ora smetteranno, avranno orrore di quel che hanno fatto!” Infine, il volto più realistico e definito dell’intero ciclo ma sospeso nel cielo, in un luogo come non suo, quello della “bambina sbigottita e felice, con il suo sorriso spuntato da dietro le lacrime pronte a sgorgare”, protagonista di un re-incontro da tanto atteso.

Anche le citazioni scelte indicano il percorso seguito. Poche, seppur potenti, quelle tratte da un dialogo diretto. “Fossi io lo zar, non farei mai la guerra”, accompagna la tavola “Rosso fuoco” e il sogno si trasforma in incubo. Spariscono gli ocra, sono lontani i bianchi e i blu, tutto si muove dentro le fiamme.

Ma di norma viene privilegiata la citazione descrittiva e spesso indiretta. È l’autore che parla.  “Questa città asiatica con le sue innumerevoli chiese, Mosca la santa, eccola dunque, finalmente, questa città famosa” accompagna il dipinto “Città lontane” dove gli ori sono sospesi tra i blu. Oppure “Era una luminosa notte senza crepuscolo, come sono le notti a Pietroburgo”, è una tavola verticale dove la luce risparmia ciò che potrebbe disturbare il riposo. E ancora “Sopra di lui non c’era più nulla, non c’era che il cielo; un cielo alto e lontano, non sereno, eppure infinitamente profondo, su cui lentamente scivolavano nuvole bigie.” La tavola si intitola “Cielo e terra”, il titolo alla mostra. Tratti scuri e dorati in raffinati giochi di bianco e blu.

È questo l’ambiente, è questo il terreno che Nora dissemina di reperti di una grande epopea e ci invita a riconoscerli e a ricostruirli.

In un percorso, più o meno errante, alla ricerca dell’essenza della cosa, Heidegger parla delle “Nozze tra cielo e terra.” Si stabilisce con ciò un vincolo perenne che vale nella buona e nella cattiva sorte, come per Guerra e pace, i due termini diventano inconcepibili privati l’altro. È su questa unità, nata da questo vincolo che l’autrice costruisce le trame o meglio il luogo in cui accogliere ogni trama. Nulla di più adatto dello sconfinato territorio della Grande Russia.

E l’accoglienza che fine fa? Si fa più complessa così come il racconto. Si attenua nelle singole opere, ma si dispiega lungo tutto il racconto.

Tutta la produzione è costruita con il colore, lavorato con la spatola, e usato con grande sapienza e studio. Ogni tonalità è calcolata in se stessa e in rapporto all’insieme, una sapienza matematica, materia che Nora ha insegnato per una vita, che permette concretezza e astrazione e sono usati congiuntamente colori caldi e freddi, con un ruolo fondamentale attribuito alla luce.

Quest’ultimo è un aspetto decisivo nel suo lavoro di Nora che svolge una pluralità di funzioni. C’è quella di illuminare le forme materiali ma più spesso e più importante quella di sospenderle, facendole levitare in uno spazio astratto, privo di gravità. Infine ha la funzione di esercitare sulle forme ed esercitando su di esse il “contenimento”, di assegnargli dei confini. È lei, soprattutto, che dà all’opera quel carattere onirico e accogliente con l’ulteriore funzione di conservare la visione alla memoria e al ricordo, anche dopo il risveglio.

Curatissimo l’allestimento curato dall’animatrice della Galleria Daniela Paluello che con questa mostra intensifica l’attività di dpProgetti, una presenza ormai consolidata dell’arte a Padova con un profilo sempre più definito e nella propria identità.

Francesco Nosella

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