Meccanica – Le immagini

Astrario - 1350 circa

L’Astrario – 1350 circa
(Riproduzione 1963)
Giovanni Dondi dell’Orologio
Palazzo del Bo, Università di Padova

È il sogno di essere Dio. Non solo a sua immagine e somiglianza, troppo poco, ma con la stessa capacità creativa e realizzatrice di Dio. In effetti, Giovanni Dondi non si fa scrupolo di lanciarsi in un’ardita analogia. Afferma, infatti, che “se un uomo è riuscito a costruire un simile apparecchio sulla terra, a maggior ragione Dio può essere riuscito a costruire un universo modellato allo stesso modo in cielo.” (1) Ecco l’Astrario come prova dell’esistenza di Dio o almeno argomento a supporto di questa tesi.
Senza l’entusiasmo teologico di Dondi, l’Astrario dimostra almeno la genialità umana.
La copia originale è andata distrutta ma Dondi descrisse la realizzazione nel “Tractatus Astrarii” e il “mecchanicus mediolanensis” Luigi Pippa ne realizzò tre copie, la prima “Fecit A.D. 1963”.
Quella fotografata sta al Palazzo del Bo dell’Università di Padova, donata dall’Ing. Vincenzo Stefani, imprenditore padovano della meccanica.
La macchina è costituita da una parte inferiore che contiene l’orologio, azionato da un motore a pesi, che muove l’intero meccanismo. La parte superiore è composta da sette quadranti, ciascuno dei quali rappresenta il moto di ciascun pianeta allora conosciuto (Marte, Mercurio, venere, Giove, Saturno), il Primo mobile, e la luna. Un ulteriore quadrante riporta la posizione della luna rispetto al sole e permette di prevedere le eclissi. A centro una grande ruota svolge la funzione di calendario. (2)
Ecco perché l’Astrario è il nostro archetipo per la meccanica. Perché è “Quel meraviglioso artificio…che il volgo ignaro crede d’essere un orologio.” (F. Petrarca).

1 - E. Berti, sta in Padua Felix, Pietro D’Abano, Giotto e Dondi dell’Orologio, Esedra Editrice, 2007, p. 80
2 –  Vedi http://93.42.126.186/approfondimenti/documenti/astrario_dondi/

Robot antropomorfo

Robot antropomorfo
Tiesse Robot – Kawasaki
Visano – Bs

“Cuore di ragazza innamorata”, cuore di robot. Ma robot non fa rima con Sole, Cuore, Amore. E’ il nostro antropomorfismo, una malattia congenita, seppur gaia e illuminante, che ci ha spinto a dare sembianze umane a tutto. L’abbiamo fatto e lo facciamo verso l’alto attribuendo nostri pregi, difetti, sentimenti, forme, magari in “realtà aumentata”, agli dei. L’abbiamo fatto e lo facciamo verso il basso, nei confronti di animali, piante, e addirittura di rocce o di specchi. L’elenco sarebbe lunghissimo, da Topolino al Grillo parlante.
Lo abbiamo fatto con le macchine agricole nel primo ‘900 inventando la “Ruota Pedrail”, ruota con i piedi per superare gradini e terreni impervi, antesignana dei cingoli, catene e nastri senza fine per lavorare su terreni impossibili.
Lo stiamo facendo oggi con i robot, fase finale o passaggio intermedio, per macchine che fanno lavoro per noi e meglio di noi, capaci di riprodurre le nostre azioni, anche molto complesse, con più precisione e meno fatica.
Sono gli ingegneri che li hanno generati ad aver dato il nome alle varie parti. Le hanno chiamate vita, spalle, gomiti, polsi, mani (pinze). E gli hanno dato un cuore, più cuori. Quello fotografato ne ha sei, sono i suoi motori meccanici. E un cervello, un raffinatissimo e potente strumento di calcolo, è il cervello informatico che trasforma l’operatore (operaio) alla macchina nel suo controllore.
Tutto si basa su un calcolo complesso ma oggi realizzabile grazie all’enorme potenza computazionale raggiunta e a una raffinatissima meccanica di precisione. Si tratta di calcolare e armonizzare i tre tipi di movimento dei robot – da punto a punto, rettilineo, ad arco di circonferenza – spezzettando la traiettoria nel maggior numero di punti possibili e collocando su di essi i singoli assi del robot attraverso calcoli matriciali.
Ecco i Robot, con loro “Replichiamo ciò che mani esperte eseguono da tempo”. Lo dice a caratteri cubitali Tiesse Robot, l’azienda che lo produce, sul proprio sito.
Ma se le azioni diventano ancor più complesse e delicate del saldare, tagliare, assemblare allora sono le necessità derivate dal fine che generano la forma.
Se le mani devono essere d’oro, mani a cui affidi la vita, se è meglio penetrare quasi senza tagliare, allora per aiutare il chirurgo le braccia, i gomiti, i polsi, le mani si moltiplicano, l’umanoide si trasforma in dea Kali dalle mille braccia che amorevolmente arriva dritta al cuore per una cura che ti impedisce di “morir d’amore, andare via senza tanti perché” (C. Aznavour)

Camera da vuoto di Spider

Camera da vuoto di Spider
Consorzio RFX
per la fusione nucleare
Padova

Novelli Prometeo, ma senza il mal di fegato, vogliono portare il sole e tutte le stelle sulla terra. Non proprio portarli, riprodurli, in piccolo.
Siamo nell’Area di Ricerca del CNR, zona industriale di Padova, che ospita il Consorzio RFX. Si lavora a progetti di fisica nucleare – Spider e Mitica – che fanno parte di un più ampio disegno, il progetto ITER, acronimo di International Thermonuclear Experimental Reactor, ma che significa anche, in latino, via. Un grande progetto internazionale finanziato da Unione Europea, Cina, Usa, Russia, India, Corea del Sud, Giappone.
A Padova ci lavorano duecento persone che hanno, insieme a colleghi spersi per il mondo, un fine preciso. Riprodurre sulla terra quanto avviene nel sole e nelle stelle e governare tale processo. Stiamo parlando della fusione nucleare che può dare energia pulita e illimitata all’uomo. Si presentano così: uniamo competenze di fisica e ingegneria, ma siamo anche amanti della letteratura, dell’arte e della musica.
Ladri di conoscenza e filantropi, visionari come Prometeo (Pro–manthano, conosco prima), custodiscono il segreto dell’energia. In fondo si tratta solo di una formula di fisica, una semplice formula: D+T=He+n+E. Scriviamola per esteso: Deuterio + Trizio = Elio + 1 neutrone + Energia. Semplice no? Forse per loro sì, ma solo fino a qui.
Nel sole, ci dicono, il plasma (quarto stato della materia), ovvero un gas ionizzato ad alta temperatura (circa 150 milioni di gradi centigradi) rimane confinato per la grande massa solare, cosa che sulla terra non c’è. Ecco il problema, realizzare il confinamento del plasma e portarlo a 150 milioni di gradi.
La soluzione che sperimentano è quella del confinamento magnetico generato attraverso correnti elettriche fatte fluire in grandi elettromagneti posti intorno alla camera da vuoto di forma toroidale, cioè a ciambella, che contiene il plasma in uno spazio finito. Magia del cerchio, compresenza di finito e infinito.
L’immagine riproduce invece la camera da vuoto di Spider, la sorgente di ioni negativi più grande al mondo. È sostanzialmente un cilindro di quattro metri di diametro per sei di lunghezza, provvisto di diverse aperture per gli strumenti diagnostici.
È il cuore del più potente sistema di riscaldamento del plasma di ITER, circa 16 milioni di Watt. Si sperimenta qui l’utopia possibile che annunci ho fatto loro compagna la fiamma (1), questa volta pulita, infinita a chiudere così l’Anello tecnologico delle trasformazioni dell’energia, anche dal punto di vista pratico e non solo teorico e ricomporre un definitivo equilibrio tra uomo e ambiente.
È un programma di ricerca davvero ambizioso. Ci lavorano fisici e ingegneri perché per risolvere problemi complessi ci vogliono tante e diverse competenze. Qui l’interdisciplinarietà è di casa, come il futuro.

1 – Eschilo, Prometeo incatenato, Garzanti1982, p.14

Enter your keyword