Progetto Meccanica

Progetto Meccanica

Progetto Meccanica

MECCANICA

Il fascino della perfezione

“Quel meraviglioso artificio…che il volgo
ignaro crede d’essere un orologio” (F. Petrarca)

Vogliamo parlare di meccanica ed è da lì che si parte. Da quella meraviglia che è l’Astrario di Giovanni Dondi dell’Orologio, una macchina perfetta, un capolavoro della meccanica del XIV secolo che indicava, e le tre copie ricostruite indicano ancora, in contemporanea, l’ora e la posizione di tutti i pianeti del sistema solare allora conosciuto. (1)
Non parte certo la lì la storia della meccanica che non può fare a meno di riferirsi a un altro italiano, all’Archimede di Siracusa a cui si devono – siamo nel III secolo a.C. – innumerevoli invenzioni e applicazioni meccaniche tra cui la vite senza fine, ruote dentate, carrucole e ovviamente la leva che non solleva il mondo solo perché priva di un punto d’appoggio. A lui, infine, la gratitudine per quella parola magica, èureka, che spesso accompagna le scoperte o invenzioni a esprimere la gioia e la meraviglia che si prova quando accade. Tuttavia Archimede è molto di più di quanto comunemente si ritiene. Appartiene a quella cultura ellenistica che non si è limitata a innovazioni tecnologiche e applicazioni meccaniche, ma che, come messo in luce da studi recenti, ha sviluppato una decisiva elaborazione teorica, poi dimenticata o oppressa, nella quale si può già vedere la nascita del metodo scientifico in senso moderno. (2)

“l’Astrario come
archetipo di ciò che mano e mente
possono fare di
meraviglioso

Fernand Braudel data la Prima rivoluzione meccanica molto più vicino a noi. Una rivoluzione lenta secondo l’autore che si sviluppa lungo ben tre secoli, dal XI al XIII.(3) Al proprio centro ha l’obiettivo di trasformare la forza della natura in forza motrice a beneficio dell’uomo. Acqua, vento, legno, trattati con ingegno, per muovere marchingegni a vantaggio del lavoro dell’uomo e sostituire la sua fatica e quella degli animali per far funzionare mulini, segherie, telai.

Ma le storie classiche, preferiscono datare la nascita della meccanica ancora più vicino a noi, vale dire, e di nuovo siamo in Italia, nel Rinascimento. (4)

Giovanni Dondi dell’Orologio: L’Astrario come archetipo

E allora perché l’Astrario, realizzato a metà strada tra la rivoluzione lenta indicata da Braudel e la genialità di Leonardo, può essere il nostro inizio, il luogo, fisico e intellettuale, da cui partire?
Perché la nostra non è una storia della meccanica. Essa rimane presente, una sorta di filigrana, vive come traccia che nutre il nostro racconto, ma non lo è.

disvelare, con parole e immagini, non la genesi o il funzionamento della meccanica, ma la sua anima e coglierne la meraviglia, oggi come sempre.

Questo lavoro ha un altro scopo: disvelare, con parole e immagini, non la genesi o il funzionamento della meccanica, ma la sua anima e coglierne la meraviglia, oggi come sempre.
Ecco allora che l’Astrario può rappresentare l’archetipo di ciò che mano e mente possono fare di meraviglioso. Macchina disvelare, con parole e immagini, non la genesi o il funzionamento della meccanica, ma la sua anima e coglierne la meraviglia, oggi come sempre. perfetta, la più avanzata dell’epoca (1350/1365 circa) e opera scientifica che riproduceva l’intero sistema tolemaico. Macchina complessa mossa da un comune orologio a peso ma i cui “moti non sono tra loro collegati… ed è effettivamente in grado di funzionare e permette effettivamente, sia pure con approssimazioni ed errori, e malgrado i suoi presupposti geocentrici, di calcolare le posizioni dei pianeti nel sistema solare.” (5)
Archetipo perché paradigma della creatività dell’ingegno, (6) capace di suscitare quella meraviglia che il manufatto meccanico contiene.

Seconda tappa di un unico tour

Questo progetto continua il lavoro di ricerca avviato con la mostra “Tra Arte e Pubblicità” (2021 – http://www.studiolavia.it/tra-arte-e-pubblicita/) volgendo però l’attenzione non alla persona per svelarne, attraverso il ritratto, l’identità ma agli oggetti che questa realizza.
Potevano, ci eravamo chiesti allora, la parola e l’immagine svelare il sé dell’individuo? Ci chiediamo ora: possono svelare l’anima dell’artificio, della macchina, del manu-fatto ideato e costruito dall’uomo?
Il progetto mette, ancora una volta, alla prova l’immagine e la parola in una attività conoscitiva indirizzata nei confronti di applicazioni frutto dell’ingegno dell’uomo. Non una conoscenza tecnica che appartiene alla scienza e delle sue applicazioni.
Piuttosto una conoscenza estetica,(7) che coinvolge in una sintesi tutti i sensi, in primis gli occhi, che inviano i propri stimoli al cervello che li ricostruisce in una storia e ne conferisce un senso e fa scaturire un significato, un sentimento, un’emozione.

La meccanica

Ma cos’è la meccanica? Una definizione da manuale ci dice che la meccanica è la scienza che studia l’interazione tra moto e materia e così facendo realizza macchine complicate. Fuori dalle definizioni possiamo dire che è quella cosa che si occupa di ruote, molle, leve e ingranaggi che permettono a un meccanismo di funzionare e raggiungere il proprio scopo. E ancora, quella cosa che fa marchingegni che aumentano la potenza dell’uomo e ne diminuiscono la fatica permettendogli imprese altrimenti impensabili, sia nel bene che, purtroppo, nel male. (8)
Già abbiamo indicato alcune delle tappe fondamentali dello sviluppo della meccanica, dalla scienza ellenistica alla rivoluzione lenta di Braudel al Rinascimento e come, quest’ultimo, venga comunemente indicato come l’inizio della sua storia.

Può rappresentare un’utile convenzione. Il Rinascimento è un momento magico anche per la meccanica, in esso tecnica e bellezza si fondono, arte e tecnica sono tra loro in costante oscillazione. La scienza seguirà di lì a poco.
Non si tratta solo della bellezza e ingegnosità dei disegni e delle macchine di Leonardo o delle ardite soluzioni architettoniche in cui la bellezza è sorretta dalle innovative

“con il Rinascimento si inizia ad apprezzare la macchina per se stessa, per l’ingegnosità del suo meccanismo

soluzioni tecniche di Brunelleschi, è il momento in cui “la macchina viene definitivamente associata alla produzione di effetti estetici e viene usata per produrre “teatri”, ovvero architetture bellissime e stupefacenti, come i giardini animati da fontane miracolose […] Apparati idraulici..(che) manifestano in superficie solo sinfonie di zampilli e apparizioni di figure animate. […] (con esso) si inizia ad apprezzare la macchina per se stessa, per l’ingegnosità del suo meccanismo, che per la prima volta viene messo a nudo come oggetto di meraviglia.” (9)

“si instaura un
binomio tra arte e
macchina

Questo binomio tra arte e macchina perdura nel tempo e anzi si fa completo nel barocco quando “si arriva – è ancora Eco che scrive – a una fusione tra la Bellezza stupefacente dell’effetto e la Bellezza ingegnosa dell’artificio che lo produce.” (10)

Negli stessi anni si avvia e si completa, nel giro di un secolo, un’importante revisione del pensiero e della conoscenza che unanimemente indichiamo come rivoluzione scientifica. Ha tanti protagonisti, simbolicamente li riassumiamo qui con i nomi di Galileo, Decartes e Newton.
Trascorrono 162 anni dalla nascita del primo (1564) alla morte del terzo (1726). In questo lasso di tempo oltre che a una nuova scienza e a importanti innovazioni tecnologiche, (11) si sviluppa una concezione “meccanicistica” che diviene modello estendibile a tutto l’universo e, con l’ultimo dei tre si pongono le basi della “meccanica classica” (12) introducendo, come centrale, nella comprensione dei fenomeni naturali il concetto di forza.
E’ un percorso lungo ma che apre la strada ai secoli d’oro della meccanica, in cui si è imposta come elemento capace di plasmare l’intera società, sono quelli che vanno dalla metà del ‘700 all’ultimo decennio dell’800 (13) per poi esplodere nel ‘900.
Per tappe successive viene completato lo schema “dell’Anello Tecnologico”, cioè delle “trasformazioni dell’energia e delle sue utilizzazioni nei sistemi produttivi industriali” (14) che parte dalla motrice a vapore di James Watt (1757) per arrivare al motore elettrico di Nicola Tesla (1888), passando per la locomotiva a vapore di George Stephenson (1814). La potenza della macchina si affranca definitivamente dallo sfruttamento delle forze naturali per ricevere l’energia necessaria al proprio funzionamento.

Sono solo alcuni dei passaggi fondamentali che, insieme a una serie di strabilianti invenzioni e scoperte, (15) daranno vita alle rivoluzioni industriali che hanno cambiato non solo le macchine ma attraverso le macchine il modo di produrre e con esse il “mondo”, il suo modo d’essere, il modo di pensarlo, i ruoli e le classi al suo interno, l’ambiente e il modo di abitarlo e di viverlo e, pare che oggi ne abbiamo

“la meccanica ha
cambiato l’uomo stesso, la sua organizzazione
sociale, la sua antropologia, la sua estetica.

preso coscienza, di consumarlo. Ha cambiato l’organizzazione del sapere e della ricerca formalizzando la meccanica nelle sue diverse discipline e istituendo le relative cattedre nelle varie Università.
Ha cambiato l’uomo stesso, la sua organizzazione sociale, la sua antropologia, la sua estetica.
“Con la macchina a vapore si afferma definitivamente un entusiasmo estetico” (16) che coinvolge i costumi, l’arte, la poesia, la letteratura e accanto alle nuove produzioni si afferma un’estetica industriale.
Dalla macchia a vapore al motore a scoppio il passo è breve e si lavora alla macchina per antonomasia: l’Automobile. Ancora Eco, nella stessa pagina, ci propone, emblematicamente, un’analisi di Roland Barthes sul primo esemplare della Citroën DS in cui la sigla, apparentemente tecnologica, si pronuncia in francese “déesse”, cioè Dea.
Dea da venerare e insieme strumento dato all’uomo per estendere il proprio dominio (17) e che tuttavia, nel suo insieme, si manifesta quale “organismo di produzione del tutto oggettivo” (18) perdendo in questo modo la sua connotazione di strumento. Si tratta degli ingranaggi che stritolano C. Chaplin di Tempi moderni, e che con le merci prodotte genera simboli, “Status Symbol”, capaci di soddisfare, e di indurre, bisogni materiali, e di essere insieme gli indicatori della condizione sociale, dell’appartenenza di “classe”, di ambiente, insomma, d’identità.

Tutto il ‘900 vede, in diverse fasi e con diverse forme, la costruzione di questo “mondo” in cui la meccanica, il suo prodotto e il suo produttore, sono al centro. Di fronte ad essa una duplice coscienza o sentimento, da un lato l’angoscia meccanicistica che imprigiona l’uomo e che Marx descrive in forma quasi poetica. “Quivi alla singola macchina subentra un mostro meccanico, che riempie del suo corpo interi edifici di fabbriche, e la cui forza demoniaca, dapprima nascosta dal movimento quasi solennemente misurato delle sue membra gigantesche, esplode, poi nella folle e febbrile danza turbinosa dei suoi innumerevoli organi di lavoro in senso proprio.” (19) Un meccanicismo universale che solo apparentemente può far pensare a un organismo del tutto armonico, a una sorta di “corpo mistico” (20), perché imperfetto, pieno di “scarti”, proprio come la produzione e il consumo.
Dall’altro, è proprio il consumo che produce, all’interno dello stesso meccanismo, la sua antinomia. Grazie alle “merci” si costituisce “l’individualismo proprietario” (21) che nel possesso della merce costruisce la propria identità. Merce come bene e come simbolo, ciascuna per ogni posizione occupata nella scala sociale, merce come Status symbol.
Abbiamo quindi da un lato la macchina universale e dall’altro l’individualismo come sua contraddizione che genera la fiducia nel progresso come crescita infinita per realizzare la composizione del conflitto e illusione del possesso di tutti i beni, anche di quelli posizionali.
La creazione dell’ideologia dell’individuo avviene sul fondamento della “macchina” che nel contempo è anche levatrice di un pensiero critico e di denuncia. Dalla deificazione dell’oggetto al feticismo della merce, dalla reificazione del lavoro alla produzione, sul piano artistico delle “macchine celibi” e più tardi delle macchine “inutili”. (22)
Oggi la meccanica appare aver perso quella centralità che ha avuto il suo apice nel secolo scorso. L’ha persa dal punto di vista sociale (è sparito il metalmeccanico), da quello dell’immaginario collettivo, si è offuscata l’immagine, la sua centralità simbolica che aveva avuto.

Non lo ha, invece, perso posizioni dal punto di vista economico e produttivo, anche se deve far spazio ad altri attori nella scena.
Un recente studio della Confindustria (23) ci dice che è un settore che conta 105 mila aziende di cui l’82% ad alta tecnologia e rappresenta un fatturato di circa il 25% del PIL. Resta quindi centrale nell’economia nazionale. Ma ci fa anche notare che fatti 100 gli occupati di un’azienda nel 1990 gli operai erano 63,5, nel 2019 erano diminuiti a 46,8.

“oggi la meccanica conta in Italia 105 mila aziende di cui l’82% ad alta tecnologia e
rappresenta circa il 25% del PIL italiano.

La componente dirigente, commerciale e impiegatizia è quindi divenuta la maggioranza dentro l’azienda con il 53,2%.
Per la meccanica il cambio di secolo non ha modificato la sua importanza “strutturale”, ma sul piano dell’immagine, dei comportamenti, della rappresentazione, del significato che trasmette c’è stato un salto significativo.
Alla macchina è stato aggiunto un “cervello”, nella produzione all’ingegnere meccanico è stato affiancato l’ingegnere elettronico e altre competenze.
Alla “macchina”, inoltre è stata cambiata la mission. Deve partecipare non solo alla costruzione di “un mondo”, producendo e consumando, ma deve “prendersi cura del mondo” affinché non venga divorato ma diventi invece sostenibile.

“alla macchia è stato aggiunto un “cervello” ed è stata cambiata la mission, non deve solo costruire un mondo, ma prendersi cura del mondo

Non è cambiata una delle ragioni fondamentali per cui è nata, togliere fatica al lavoro dell’uomo, liberarlo, almeno ancora un po’, dalla “maledizione biblica” del lavoro.
Si tratta di cambiamenti profondi. Il riflettore della storia ora è puntato sul digitale e ciò cambia i prodotti, i comportamenti, le abitudini, le gerarchie dei valori e lo stesso “individuo proprietario”, la sua ideologia, i suoi Status symbol. (24)

Ma se la meccanica ha perso il proscenio, rimane elemento portante. Lo diciamo in questa presentazione anche con le tre immagini scelte per spiegare l’intento del progetto. Se la “macchina” di Dondi dell’Orologio del 1350 circa è inserita come “archetipo” di un marchingegno “meraviglioso” (vedi “Le immagini”) l’immagine del Robot Tiesse Kawasaki le cui azioni complesse sono “guidate” da un “cervello” elettronico possono essere realizzate solo grazie al lavoro di sei motori elettrici (vedi p. 10-11) e lo dimostra l’immagine della fusione nucleare in cui fisici e ingegneri meccanici operano fianco a fianco per realizzare il sogno di avere il sole in casa. (vedi “Le immagini”)
Di questo “mondo”, con immagini e parole, il progetto intende svelarne l’anima, costruirne un lifestyle (25), mostrarne, artisticamente, la perfezione e la meraviglia. Quella capacità meravigliosa di avere successo, di raggiungere lo scopo, di funzionare. 
Ci si potrebbe chiedere: perché privilegiare il bello e non il brutto? O ancora perché non ricercare il vero, brutto o bello che sia?
La risposta è semplice. PERCHÉ L’UTOPIA È PIÙ EURISTICA DELLA DISTOPIA.

Questo perché l’utopia può sviluppare una tensione etica e indicare dei fini, senza togliere la necessità di esercitare, contemporaneamente, il pensiero critico ciò a mettere in guardia da possibili esiti distopici.
Ben coscienti dei problemi enormi tecnologici, organizzativi, etici, politici vogliamo concludere questo

“perchè il bello e non il brutto? Perchè l’utopia produce soluzioni migliori della distopia.

breve excursus sulla meccanica a illustrazione del progetto che cerchiamo di realizzare rubando una citazione a un importante top manager italiano, Franco Bernabè, che la inserisce nelle pagine conclusive del suo volume “A conti fatti” del luglio 2020. Si tratta di un passaggio de L’Ideologia tedesca in cui “Marx e Engels descrivono l’utopia: ‘Nessuno avrà una sfera esclusiva di attività, ma ciascuno potrà diventare completo in qualunque ramo desideri; la società regolerà la produzione generale e così renderà possibile fare una cosa oggi e un’altra domani, cacciare al mattino, pescare al pomeriggio, allevare bestiame alla sera, ragionare dopo pranzo, senza mai diventare cacciatore, pescatore, pastore o critico.’ Paradossalmente – chiosa Bernabè – è lo sviluppo del capitalismo che ha prodotto condizioni perché si possa realizzare l’utopia”. (26)
Dire che la potenzialità offerta dalla costruzione di arte-fatti capaci di risolvere problemi non ci porta necessariamente in un futuro dove l’uomo soccombe a un ambiente ostile che lo predetermina può significare cogliere la bellezza e l’utilità del prodotto “ingegnoso” senza per questo distogliere lo sguardo dal “pericolo”, ma indicando un fine, un “progetto umano” sul quale impegnare uno sforzo etico, questa fatica va interamente lasciata all’uomo, di cui la “meccanica” sia fondamentale strumento.

Identità: da quella dell’uomo a quella manu-fatto

Nel ritratto, come l’abbiamo sperimentato, l’Io si costituisce attraverso il suo ambiente e il suo sé si rivela, per necessità, mitologico.
Nel fissare l’oggetto, la cosa, l’arte-fatto, l’uomo è presente, ma non come protagonista bensì come artefice, creatore. E’ il regista del film. La sua figura si ritrae dalla scena, sta un passo indietro, si mette in secondo piano a favore della sua creatura. Il suo è un atto d’amore. L’uomo esce da sé per dare vita da un nuovo oggetto che si fa soggetto, una sorta di “figlio”. L’uomo c’è o c’è la sua traccia, ma l’oggetto ha ormai vita propria.
Ecco, è l’oggetto, e il mondo che costruisce e a cui appartiene, che contiene un’anima fatta di formule, leggi, calcoli, materia, design, di cui vengono messe in luce l’unitarietà, la meraviglia, la bellezza.

Parole e immagini

Il progetto prevede circa 25 soggetti presentati attraverso una narrazioen e un’immagine (vedi esempi da pag. 11 a pag. 16) per narrare l’oggi della meccanica.
Alcune di queste appartengono alla storia della meccanica e dell’arte ed hanno un grande valore simbolico ed evocativo. Altre si collocano al confine tra produzione e ricerca. Infine, la maggior parte, sono dedicate a cogliere il senso e la bellezza della produzione che avviene nelle aziende, artigiane e industriali

Compagni di strada

Non si vuole essere soli in questa ricerca. Il progetto è quindi aperto a un gruppo di ragazzi in formazione che, nel corso dell’anno scolastico, sviluppano il medesimo tema con gli strumenti della fotografia, della narrazione scritta e del filmato. I lavori saranno esposti nella mostra in una specifica sezione – spazio formativo – e pubblicati in appendice al libro.

Lo scopo

Grazie al lavoro di studiosi, economisti, associazioni di categoria e istituti professionali siamo in possesso di molti dati e informazioni che “fotografano” molto bene, dal punto di vista socioeconomico, il fenomeno della meccanica.
Si tratta, come abbiamo visto, di un valore economico e sociale molto importante, al quale, si ritiene, non corrisponda un’immagine di uguale valore e significato. Probabilmente, il suo essere un valore strumentale, gli ha tolto i riflettori dell’attenzione e l’abitudine ha portato a considerare “normale” ciò che dovrebbe dare “meraviglia”.
Ridurre questa distanza, lavorare su un’immagine che valorizzi il settore, che chieda di soffermare la propria attenzione sulle sue soluzioni “meravigliose”, sulle capacità realizzative, sul suo modo di pensare e operare, anche artisticamente, può rappresentare un servizio al settore stesso.

Grazie al lavoro di studiosi, economisti, associazioni di categoria e istituti professionali siamo in possesso di molti dati e informazioni che “fotografano” molto bene, dal punto di vista socioeconomico, il fenomeno della meccanica.
Si tratta, come abbiamo visto, di un valore economico e sociale molto importante, al quale, si ritiene, non corrisponda un’immagine di uguale valore e significato. Probabilmente, il suo essere un valore strumentale, gli ha tolto i riflettori dell’attenzione e l’abitudine ha portato a considerare

“scopo del progetto: adeguare l’immagine della meccanica al suo reale apporto di valore economico e di capcità realizzativa a favore dell’uomo

“normale” ciò che dovrebbe dare “meraviglia”.
Ridurre questa distanza, lavorare su un’immagine che valorizzi il settore, che chieda di soffermare la propria attenzione sulle sue soluzioni “meravigliose”, sulle capacità realizzative, sul suo modo di pensare e operare, anche artisticamente, può rappresentare un servizio al settore stesso.

Contenuti e fasi del progetto

Il progetto prevede la realizzazione di circa 25 fotografie e di altrettante brevi narrazioni e schede delle immagini realizzate secondo le linee di “Io non sono uguale” e i contenuti inseriti nella premessa. I materia li andranno a produrre: una mostra, un libro, uno o più eventi e saranno messi nella rete internet.
La Mostra
La mostra rappresenterà il momento di maggior visibilità del progetto. Sarà allestita a Padova in uno spazio molto ampio vista la quantità e la dimensione dei materiali e sarà sostenuta da una campagna di comunicazione e da un calendario di eventi di approfondimento su vari aspetti toccati dal progetto. (vedi box a pag. 7)
Il Libro
I materiali della mostra, unitamente ad alcuni contributi multidisciplinari, andranno a produrre una pubblicazione sul tema. Saranno sviluppati diversi aspetti: dall’immagine alla dimensione economica, da quella sociologica a quella antropologica. (vedi box a pag. 7)
Gli Eventi speciali
Saranno programmati degli eventi speciali. Dall’inaugurazione ad approfondimenti su specifici temi.
Presenza in rete
È infine prevista la costruzione di un sito Web che ricalca i contenuti del libro.
Saranno inoltre attivati dei profili sui social – Facebook e Linkedin – alimentati con post relativi ai singoli imprenditori, agli sponsor e agli eventi del progetto.
E’ allo studio la possibilità di istituire una newsletter periodica.
Primavera/estate 2022

NOTE

1 - Vedi E. Berti, Pietro d’Abano, Giotto e Dondi dall’Orologio, sta in AAVV, Padua Felix. Storie di padovani illustri, Esedra Editrice, 2007
2 - L. Russo, La rivoluzione dimenticata. Il pensiero scientifico greco e la scienza moderna, (Prima edizione 1996), Dodicesima edizione (completamente rivista) Feltrinelli, 2021. L. Russo, con una ricerca condotta nel corso di molti anni e con una mole enorme di riferimenti alle fonti e alla letteratura, vuole documentare lo straordinario sviluppo, in particolare metodologico, che era stato raggiunto dalla cultura ellenistica (III – II sec. A.C.) tale da poter parlare di un metodo scientifico in senso moderno e come a quelle culture siano debitori i protagonisti della rivoluzione moderna, da Galileo a Newton. I risultati di quello straordinario sviluppo sono stati, nel loro insieme distrutti o dimenticati a partire dalla distruzione di Cartagine (a46 a.C.) e Corinto (145 a. C.) e la fine dei Tolomei. Archimede, Euclide e Tolomeo i nomi più noti tra i numerosi “scienziati” di quella cultura.
3 - F. Braudel, Civiltà materiale, economica e capitalismo (sec XV – XVIII), I – Le strutture del quotidiano, Giulio Einaudi editore, pag. 325 e seg.
4 – Qui si parla della meccanica classica. Tuttavia, fuori dalle categorizzazioni che vedono la meccanica classica accanto a quella quantistica, dei campi e relativistica e ancora razionale, celeste o dei fluidi ecc. per definire l’ambito del nostro interesse prendiamo un brano dell’editoriale di Alessandro Profumo con cui presenta il primo numero della rinata rivista di Leonardo “La civiltà delle macchine”. “Per sua natura e vocazione storica, la nostra azienda è, infatti, figlia di quella “civiltà delle macchine” che non è solo rintracciabile negli anni della sua fondazione – quelli della Ricostruzione e della nuova vita della tradizione manufatturiera del nostro paese – ma  che affonda le proprie radici in un codice genetico antico: la dimensione artigianale della propria produzione, ricollegata alle “botteghe” del Rinascimento, quelle fucine di apprendimento di antichi e nuovi saperi in cui non esisteva un confine disciplinare tra invenzione tecnica e creazione artistica.”
5 - E. Berti, Pietro d’Abano, Giotto e Dondi dall’Orologio, sta in AAVV Padua Felix . Storie di padovani illustri, Esedra editrice 2007, p. 80
6 -  I protagonisti della meccanica sono certamente gli ingegneri e non è inutile ricordare, per una categoria spesso accusata di essere priva di fantasia e inventività, che l’etimologia fa riferimento a “ingegno”, colui che “fa professione di trovar ingegni e macchine” [Tramater, 1834]. “Ingegnere è un termine antico che fa risalire la sua origine agli ingenia, le vere macchine, quei dispositivi che nel corso del tempo divennero engiens, e poi enginos, e che da noi sono rimasti solo nei congegni e forse anche nei marchingegni. Le macchine … sono altra cosa, e per molto tempo mantennero una connotazione se non negativa, almeno legata a processi innaturali e artefatti. Come il deus ex machina, e sino alle odierne macchinazioni. Vittorio Marchis, Gli Ingegneri nelle Rivoluzioni: Industria o Scienza? Sta in Scienza e tecnica nel Settecento e nell’Ottocento. La rivoluzione industriale vista dagli ingegneri, a cura di Ezio Mesini e Domenico Mirri, Clueb 2012, p. 3.
7 - Ci si riferisce al significato letterale, etimologico del termine come conoscenza sensibile.
8 – Da macchina viene anche “macchinazione”, e vuole la sua vittima e non è l’unico senso in cui la “macchina” può essere indirizzata al male.
9 – U. Eco, Storia della bellezza, Bompiani, 2012, p. 388
10 – Ibidem, pp. 388-390 – Inutile sottolineare che meraviglia, artificio ingegnoso ecc. sono per il Barocco canoni di Bellezza
11 – Jaques Vaucanson (1709 – 1782) fu l’inventore del primo telaio automatico e fu costruttore di automi, tra questi, famosa, l’anatra–automa. “Tuttavia le invenzioni del Vaucanson, dell’Arkwright, del Watt, ecc., poterono essere effettuate solo perché questi inventori trovarono una notevole quantità di abili operai meccanici fornita bell’e pronta dal periodo manifatturiero.” C. Marx, Il Capitale, lib. I, Editori Riuniti, 1974, p. 424
12 – Philosophiae naturalis principia matematica (1687) – Introduzione dei concetti di moto e di forza (forza come causa dei moti)
13 – C. Marx, Il Capitale, lib. I, Editori Riuniti, 1974, p. 426
14 – Si produce in questo periodo “Lo sviluppo industriale su larga scala … si è prodotto in maniera tumultuosa e inarrestabile quando, in poco più di un secolo (dal 1763 al 1888), una serie impressionante di innovazioni tecnologiche in diversi campi della scienza e della tecnica, perseguite per fini diversi e apparentemente non collegati, ha completato e chiuso un “anello tecnologico”, di cui quello sviluppo industriale è diventato poi la conseguenza inevitabile e necessaria.” Arrigo Pareschi, L’anello tecnologico e lo sviluppo dell’industria. P. 11. Sta in Scienza e tecnica nel Settecento e nell’Ottocento. La rivoluzione industriale vista dagli ingegneri, a cura di Ezio Mesini e Domenico Mirri, Clueb 2012).
15 – Solo per rinfrescare la memoria e con tante omissioni: la pila elettrica di A. Volta (1800); la dinamite di A. B. Nobel (1867); la lampadina di T.A. Edison (1879); il telefono di A. G. Bell o A. Meucci (1876); il telegrafo senza fili di G. Marconi (1895)
16 – U. Eco, Storia della bellezza, Bompiani, 2012, p. 393
17 – Sulla macchia e la velocità è amplia la letteratura e l’arte prodotta dal Futurismo. Citiamo, per tutti, un passo dell’opera di Mario Morasso, la nuova arma. “Fortunatamente la macchina è arrivata a tempo, come una salvezza, a schiudere un varco per queste energie contenute e vibranti come molle represse. La macchina è venuta ad appagare questo bisogno di emozione, di avventura, di rischio; è apparsa come un immenso impero nuovo sul quale esercitare le proprie energie ed estendere il proprio dominio. E l’uomo si è lanciato sull’infuocato motore per sfogare il più prepotente ed anche il più nobile dei suoi istinti, l’istinto che ha dato alla umanità le glorie più insigni, e alla civiltà i supremi fasti e le immense forze di cui oggi dispone.” Mario Morasso – la nuova arma (la macchina), 1905, p. 89
18 – C. Marx, Il Capitale, lib. I, Editori Riuniti, 1974, p. 428 (corsivo di Marx)
19 – C. Marx, Il Capitale, lib. I, Editori Riuniti, 1974, p. 424
20 – San Paolo, lettera a Corinzi in cui “… come in un solo corpo abbiamo molte membra e queste membra non hanno tutte la medesima funzione, così anche noi, pur essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo e ciascuno per la sua parte siamo membra gli uni degli altri.” In analogia alla descrizione della Chiesa cristiana nascente indicata da s. Paolo si rappresenta la società meccanica come un organismo in cui ogni individuo accetti il proprio status, ruolo nell’organizzazione generale.
21 – Nota su Barcellona
22 – Con “macchine celibi” ci si riferisce all’espressione usata da Marcel Ducamp per il suo Grande vetro. Si tratta cioè di “macchine belle perché prive di funzione, o con funzioni assurde, macchine di dispendio, architetture consacrate allo spreco, ovvero macchine inutili.” U. Eco, Storia della bellezza, Bompiani 2012, p. 394. In questo contesto vanno anche considerate le “Macchine” inutili di Bruno Munari
23 – Dati 2021
24 – “…da sei o sette anni, registriamo un calo costante, in percentuale, nelle immatricolazioni e nei neopatentati… Adesso i ragazzi sono poco interessati ad avere l’automobile. Se proprio devono usano il car sharing” e poco prima “Non vogliono l’automobile, ma se non gli compri l’ultimo modello di smartphone impazziscono.” Sebastiano Barisoni, Terra incognita. Una mappa per il nuovo orizzonte economico, Solferino, 2020, pp. 139-140
25 – Utilizzare il termine lifstyle per la meccanica potrebbe apparire improprio. Il termine, in effetti, rimanda a comportamenti, atteggiamenti, stili, modi di essere della persona, non degli oggetti. Tuttavia questi ultimi, cioè le cose, gli oggetti costruiscono ambienti, veicolano valori dentro i quali la persona modella il proprio stile di vita. Così riteniamo che dietro la meccanica ci sia un modo di pensare, di agire, di comportarsi.
26 – F. Bernabè, A conti fatti. Quarant’anni di capitalismo italiano, a cura di Giuseppe Oddo, Feltrinelli, 2020, p. 312

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